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La tutela del consumatore secondo la CGUE. La prassi dei Tribunali dopo tre mesi dalla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 99479 del 6 aprile 2023.
Rilievi operativi.
A cura di Lugi Ricca, 10 luglio 2023
La Corte di Giustizia dell’UE, con diverse pronunce1, ha stabilito che gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 (concernente la tutela del consumatore) si pongono in contrasto con la nostra normativa nazionale secondo la quale, in presenza di un decreto ingiuntivo non opposto dal debitore/consumatore e, quindi, passato in giudicato, è precluso ogni successivo esame d’ufficio inerente all’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali.
Sino all’intervento delle Sezioni Unite, di cui si dirà in seguito, era noto, infatti, come nel nostro ordinamento l’autorità di cosa giudicata del decreto ingiuntivo coprisse implicitamente la validità delle clausole del contratto al consumo che ne è alla base, anche se il giudice non avesse verificato il loro carattere abusivo.
Secondo la CGUE, invece, l’acquisizione dell’autorità di cosa giudicata di un decreto ingiuntivo privo di motivazione in merito all’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali mortificherebbe la tutela del consumatore, non potendosi in tal caso stabilire se tale valutazione sia stata concretamente svolta dal giudice.
Dunque, sulla scorta di tale ragionamento, il decreto ingiuntivo non opposto potrà acquisire l’autorità di cosa giudicata solo se il giudice del monitorio abbia dato atto in motivazione di aver esaminato il contratto sotteso alla ragione di credito, escludendo la presenza di profili di abusività. Di converso, se il giudice del monitorio niente abbia motivato sul punto, la mancata opposizione al decreto da parte del debitore non precluderebbe un riesame successivo.
Ebbene, con la sentenza n. 99479/2023, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, ha indicato le modalità con le quali armonizzare il nostro ordinamento processuale alle decisioni della CGUE, le quali – ricordiamo – costituiscono fonti di diritto eurounitario e, come tali, sono sovraordinate al nostro ordinamento e direttamente vincolanti, ai sensi degli stessi artt. 11 e 117 Costituzione, così come chiarito dalla nostra Corte costituzionale2.
In tale ottica, la Suprema Corte ha provveduto, quindi, a delineare fase per fase – monitoria, esecutiva e di opposizione – gli strumenti e gli obblighi a cui sono tenuti i giudici nazionali per rispettare le regole comunitarie3.
Ciò posto, il presente contributo si pone l’obiettivo di offrire una panoramica di come i diversi uffici dei Giudici di Pace e dei Tribunali nazionali si stiano orientando alla luce della citata pronuncia, approfittando dello sguardo privilegiato di cui gode il nostro Studio, attivo nel settore del recupero del credito su tutto il territorio nazionale per conto di un noto operatore nel mercato dei crediti deteriorati (cosiddetti non performing loans).
A distanza di circa tre mesi dalla pronuncia in parola, rileviamo che diversi giudici del monitorio si sono immediatamente adeguati alle indicazioni della Suprema Corte, dando atto nella parte motiva del decreto, spesso utilizzando frasi standardizzate, di aver esaminato l’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, con l’avviso che in mancanza di opposizione il debitore consumatore non potrà più far valere tale eccezione e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.
In un’ottica futura, quindi, se nelle prassi giudiziarie entrerà l’uso di utilizzare una formula ad hoc da inserire in ogni decreto ingiuntivo a conferma dell’avvenuto controllo (formula che gli stessi avvocati potrebbero ben indicare al giudice nella redazione dei ricorsi), sarà molto difficile che insorgano problematiche interpretative.
Invero, le maggiori problematiche ad oggi riscontrate sono quelle relative al merito delle richieste di integrazione documentale, che al momento sono le più disparate e variano da giudice a giudice.
1 CGUE, 17 maggio 2022, (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19)
2 Corte costituzionale 22 dicembre 2022 n. 263
3 Cassazione a Sezioni Unite n. 99479/2023 (cfr. dispositivo della sentenza)
Queste, difatti, spaziano da richieste generiche inerenti al rispetto del foro del consumatore a richieste più specifiche in merito alle clausole contrattuali.
In particolare, confrontando le richieste pervenuteci dai Giudici di Pace a dai Tribunali di tutto il territorio nazionale, è possibile redigere un primo elenco non esaustivo:
produrre copia leggibile del contratto e delle condizioni generali;
indicare se il resistente assuma la qualifica di consumatore ai sensi dell’art. 3 co. 1 lett. a) del D.lgs. 206/05, avendo stipulato il contratto per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale, commerciale, professionale eventualmente svolta (in caso di fideiussore/garante producendo visura camerale della società garantita);
chiarire come è regolamentata la competenza per territorio delle eventuali controversie e se sia prevista deroga al foro del consumatore;
indicare come sono stati pattuiti gli interessi moratori, specificando espressamente il tasso soglia cd. di mora (ovvero calcolato tenendo conto della maggiorazione statistica ex SSUU n. 19597/20) relativo alla data di conclusione del contratto;
indicare la somma capitale e delle somme invece chieste a titolo di interessi, suddividendo gli interessi tra corrispettivi e moratori;
indicare auspicabilmente a mezzo tabella il rispetto del tasso soglia antiusura con riguardo sia agli interessi corrispettivi che con riguardo agli interessi moratori;
specificare la presenza in contratto di eventuali penali aggiuntive per caso di ritardo e/o risoluzione del contratto, con espressa menzione della loro misura e dell’effettiva applicazione nel caso concreto;
depositare una analitica relazione, che, previa analisi delle singole clausole contrattuali, indichi espressamente le ragioni della compatibilità delle clausole contrattuali stipulate con la disciplina del diritto dei consumatori.
In tale contesto, quindi, appare piuttosto evidente di come allo stato non esista uniformità di vedute da parte dei giudici, tale da poter parlare di consolidato orientamento. Anzi, alcune richieste di integrazione, come quella di depositare una vera e propria relazione in merito ad ogni singola clausola contrattuale (alla stregua di una consulenza tecnica di parte), a sommesso parere dello scrivente fa venir meno il carattere sommario del procedimento monitorio.
Detto ciò, passiamo ora ad esaminare la fase esecutiva, della quale prenderemo in considerazione soltanto i punti inerenti al controllo che deve eseguire il giudice dell’esecuzione nel caso in cui non vi sia stato, nella fase monitoria, un preventivo vaglio in ordine all’eventuale presenza di clausole abusive, tralasciano quindi l’ipotesi di una opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. non avendo al momento a disposizione alcun dato pratico tale da delineare una casistica.
Il giudice dell’esecuzione4:
in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell‘art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;
4 Così la sentenza, pag. 41
In generale, ad oggi, i giudici delle esecuzioni nel mettere in pratica i dettami della Suprema Corte, dispongono un primo rinvio con richiesta di deposito del contratto posto alla base del decreto ingiuntivo unitamente a note esplicative inerenti l’eventuale carattere abusivo delle clausole.
Anche qui, però, non vi è uniformità di vedute da parte dei giudici; vi sono infatti, magistrati che chiedono solo il deposito del contratto; altri brevi note generiche; altri ancora il deposito di note che prendano in esame ogni singola clausola contrattuale; infine, vi sono molti giudici che si riservano (attendendo -forse- una linea interpretativa univoca da seguire).
Ebbene, all’esito di tale esame, sia esso positivo che negativo, non avendo il giudice dell’esecuzione poteri accertativi, viene fissata una nuova udienza con avviso al debitore che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 650 c.p.c., esclusivamente ai fini dell’accertamento della eventuale abusività delle clausole da parte del giudice di cognizione, con effetti sull’emesso decreto.
A tale ultimo riguardo, segnaliamo che alcuni Tribunali onerano le cancellerie a procedere con la notifica di detto avviso al debitore, come del resto può desumersi dalla sentenza in parola, mentre altri onerano il creditore procedente, con ulteriore aggravio sia in termini di cost i che in termini di lungaggini processuali in danno di questi.
In ultimo, ma non per importanza, segnaliamo la prassi di alcuni Tribunali che ritengono inammissibili gli interventi non titolati ex art. 499 c.p.c. fondati su contratti al consumo, in quanto tale tipo di intervento non assicurerebbe la piena tutela del consumatore alla stregua dei principi eurocomunitari.
Orbene, secondo tale tesi (ad oggi, fatta propria da pochi Tribunali), difettando in tali casi un titolo, al giudice dell’esecuzione non sarebbe consentito concedere al debitore i termini per promuovere opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., strumento processuale che ha come necessario presupposto proprio la presenza di un titolo. Ne consegue, secondo l’orientamento in parola, il venir meno di ogni possibilità di tutela del debitore avverso la ipotetica abusività/vessatorietà delle clausole contenute nel contratto, natura accertabile unicamente dal giudice di cognizione ma non da quello dell’esecuzione.
Da qui deriverebbe, in definitiva, la vanificazione dello sforzo interpretativo effettuato dalle Sezioni Unite ai fini dell’adeguamento del nostro ordinamento a quello europeo.
A tal proposito, si riporta un passo contenuto in un verbale di udienza relativo ad un procedimento di espropriazione presso terzi dove con la presenza di un creditore inteveniente sine titulo:
In conclusione, ed a modesto avviso di chi scrive, la Suprema Corte, in virtù della richiamata funzione nomofilattica, non avrebbe potuto far altro che adeguarsi al dictum della CGUE, stante la posizione di debolezza del consumatore ma, in parallelo, sono accresciuti gli incombenti – anche in termini di costi da sostenere – a danno dei creditori che altrettanto necessitano di tutela.
Ma non solo: “se non vi è preclusione da giudicato per il consumatore, perché dovrebbe esserci per altri soggetti deboli?”; ed ancora, “perché l’assenza della preclusione da giudicato deve ritenersi operante per le clausole abusive in contrasto con il diritto dei consumatori e non per tutte le clausole vessatorie o abusive5”?
In tale panorama, parrebbe necessario un periodo di rodaggio per tutti gli operatori del diritto al fine di armonizzare e tutelare al meglio ed allo stesso modo i contrapposti interessi in gioco ma, allo stesso tempo, sarebbe auspicabile una nuova pronuncia della Suprema Corte o meglio ancora del Legislatore, al fine di chiarire i molti punti interpretativi rimasti oscuri.
5 Scarselli, La tutela del consumatore secondo la CGUE e secondo le Sezioni unite, e lo stato di diritto secondo la civil law in www.judicium.it; De Stefano, il decreto ingiuntivo contro il consumatore dopo la sentenza della CGUE in www.giustiziainsieme.it;
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